2017/07/02

Capitolo 2. La punta della freccia

Il portello si chiude ed è subito silenzio.

Certo, c’è il rumore del tuo respiro, che rimbomba dentro il casco ermetico e trasparente. C’è il ronzio della ventola che fa circolare aria fresca nel casco. Ci sono i fruscii prodotti dallo sfregamento reciproco degli innumerevoli strati della tua tuta ignifuga e pressurizzata, che t’infagotta nella stretta cabina della capsula Apollo. C’è il crepitio della radio nelle tue orecchie, con le spartane conversazioni fra i tuoi due compagni e il centro di lancio a una dozzina di chilometri dalla rampa, qui a Cape Kennedy. C’è lo scricchiolio metallico di cento metri di razzo Saturn V sotto di te, che gemono e si contraggono ed espandono nel continuo contrasto fra il freddo inconcepibile dell’ossigeno e dell’idrogeno liquidi che ne riempiono gli immensi serbatoi e il caldo umido che già attanaglia la Florida in questo limpido mattino di luglio del 1969.

Ma il silenzio che senti non è un’assenza acustica di rumore. È un silenzio interiore. È quel particolare silenzio teso che avvolge e ovatta i pensieri e li isola dalle distrazioni nei momenti che precedono un gesto irrevocabile: l’istante prima di lanciarsi con il paracadute, prima di farsi catapultare da una portaerei con i motori del tuo caccia al massimo lungo una pista impossibilmente corta, prima di lasciar andare una freccia incoccata. Solo che oggi la freccia sei tu. Anzi, sei la sua punta, letteralmente e metaforicamente.

Insieme agli altri due astronauti, sei in cima a un dardo da tremila tonnellate e sei sdraiato sulla schiena, rivolto verso il cielo che tra poco – se tutto va bene – trapasserai, spinto da cinque dei motori più potenti mai costruiti dall’uomo. Ma sei anche la punta visibile di una piramide costituita dalle fatiche e dai sacrifici di quattrocentomila costruttori, tecnici e ingegneri, sparsi in tutti gli Stati Uniti e anche all’estero, spinti da un unico, ossessivo, incredibile obiettivo: andare sulla Luna.

Dietro di te ci sono quelli che ti hanno preceduto e ti hanno spianato una strada che molti ritenevano impossibile. Ci sono anche coloro che hanno dato la propria vita per metterti in cima a quel razzo gigante.

Ci sono i tuoi colleghi di Apollo 1, Gus Grissom, Ed White e Roger Chaffee, periti in una terribile manciata di secondi nel rogo della loro capsula Apollo durante un’esercitazione di routine. È successo soltanto due anni e mezzo fa. Ci sono Clifton Williams, Theodore Freeman, Ed Givens, Charlie Bassett, Elliott See, Robert Lawrence e tanti altri astronauti, morti anche loro in incidenti prima di volare nello spazio. E ci sono anche tanti operai e tecnici morti sul lavoro nella costruzione dell’immenso complesso spaziale di Cape Kennedy.

Ti hanno preparato le tappe in tanti con le loro missioni spaziali: i voli delle capsule Mercury e Gemini, per imparare le complesse manovre orbitali necessarie per incontrarsi nello spazio; Apollo 7, il primo volo di un veicolo Apollo con equipaggio dopo una serie di lanci di prova senza astronauti a bordo; Apollo 8, la prima circumnavigazione della Luna; Apollo 9, il primo collaudo del veicolo per scendere sulla Luna; Apollo 10, la prova generale dell’allunaggio, che si è fermato a quattordici chilometri dalla superficie della Luna per collaudare tutto tranne l’atterraggio lunare vero e proprio. Tutto è successo nel giro di pochi, frenetici, incredibili anni, sempre con l’angoscia che i rivali sovietici, campioni indiscussi delle prime fasi dell’esplorazione spaziale, arrivassero per primi anche sulla Luna, umiliando di nuovo l’America.

Niente di tutto questo sarebbe successo senza il presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy, che ha avuto il coraggio – per alcuni l’incoscienza – di impegnare le menti migliori della propria nazione a mettere un uomo sulla Luna entro la fine del decennio quando l’intera esperienza di volo spaziale dell’America ammontava a quindici minuti. Così facendo, ha galvanizzato l’intera nazione e ha finanziato, ispirato e formato un esercito di tecnici, le cui innovazioni in tutti i settori hanno permesso un balzo tecnologico senza precedenti che darà frutti per decenni.

Ma Kennedy non è qui a vedere il risultato trionfale della sua sfida: è stato assassinato sei anni fa a Dallas. Al suo posto c’è Richard Nixon, che vede il progetto Apollo soprattutto come un lascito oneroso che glorifica il suo predecessore. Ha per le mani un crescente disagio sociale e una guerra in Vietnam che sta andando male e sta costando cifre enormi in denaro e in vite umane: non è più tempo di sognare lo spazio sconfinato del cosmo.

Ma oggi questo non importa. Oggi è il grande giorno: vedrai se gli anni di studio e di addestramento incessante che hai sopportato, come i tuoi compagni, daranno i frutti sperati. Oggi si parte per la Luna: non per girarci intorno, non per sfiorarla, ma per mettervi concretamente piede, per iniziare ad esplorarla e per coronare un sogno antico di millenni condiviso da tutta l’umanità.

Gli addetti abbandonano la rampa di lancio con un ultimo saluto muto attraverso i piccoli finestrini della capsula. Il propellente viene rabboccato nel Saturn V fra bianche, gelide volute di condensazione. La corda dell’arco si sta tendendo. Ma i preparativi per il lancio di questa freccia in realtà sono cominciati qualche ora prima.